Da qualche anno, il concetto di sostenibilità e, in particolare, di sostenibilità umana, è diventato prioritario all’interno della società e del mondo lavorativo.
È successo perché la consapevolezza delle persone è cambiata, influenzando inevitabilmente la gestione del capitale umano da parte delle aziende.
Nel post-pandemia, infatti, i fenomeni di Quiet Quitting o di Great Resignation sono aumentati esponenzialmente, sorprendendo e spiazzando molte aziende.
Le persone hanno acquisito consapevolezza dei propri desideri e del proprio potere di cambiamento. Cercano posti di lavoro che le soddisfino maggiormente dal punto di vista umano, consentendo un migliore bilanciamento tra vita privata e lavorativa e garantendo il rispetto dei valori individuali e la qualità delle relazioni umane.
Non c’è più spazio, quindi, per quelle aziende che guardano solamente al profitto creato dai dipendenti.
L’inclusione, la sostenibilità, l’apertura, il benessere sono gli elementi che convincono le persone a non lasciare il proprio posto di lavoro. Si tratta di un concetto di benessere che va oltre la semplice retribuzione.
Alle aziende, viene demandato un compito importante: diventare portatrici di interessi più ampi, testimoni di una proposta valoriale completa, con un impatto a lungo periodo che crei, appunto, benessere umano. Per i propri lavoratori, ma anche nei confronti dei fornitori, dei clienti finali, dei partner.
Deloitte, nel suo approfondimento “When people thrive, business thrives: The case for human sustainability”, è chiara: per essere realmente sostenibili le imprese possono, ma soprattutto devono, lavorare sul concetto di “Sostenibilità Umana”.
Sono le connessioni umane a determinare tutto ciò che ha valore per un’organizzazione. Dai ricavi, all’innovazione, all’efficienza, alla rilevanza del marchio.
Le imprese hanno quindi il compito di creare valore, in termini di benessere, competenze, maggiore occupabilità, benefit, equità, appartenenza, riconoscimento.
Il concetto di sostenibilità umana introdotto da Deloitte è molto interessante, perché obbliga i datori di lavoro a cambiare prospettiva: pensando non più a quanto le persone possono fare per l’azienda, ma a quanto l’azienda può fare per le persone.
Una prospettiva che, purtroppo, ancora poche realtà hanno scelto di adottare e che, presto o tardi, (speriamo) diventerà l’unica opzione percorribile.