Vittorio Varavallo | 10 Gennaio 2024

Ascolta le persone che lavorano con te

Gallup, società statunitense attiva da 85 anni, ogni anno sonda il sentire dei lavoratori e delle lavoratrici per fornire ai brand quei parametri utili a migliorare il rapporto dipendente-azienda. Il report 2023 sullo stato globale del dipendente rivela 7 punti sui quali riflettere. In sintesi, seppur negli ultimi due anni il coinvolgimento dei dipendenti è aumentato del 23% e sono notevolmente aumentate le opportunità lavorative, lo stress si attesta su livelli record. Sei persone su dieci lavorano con svogliatezza, senza obiettivi e senza passione. I dipendenti sanno quello che fanno, sanno come farlo ma non sanno perché lo stanno facendo. Uno dei motivi che li tiene a lavoro è lo stipendio. Quando non basta anche quello, smettono silenziosamente. Stress, malcontento e apatia sono le criticità da risolvere a monte.

Il lavoro a conferma della nostra esistenza

Il lavoro non è solo mettere il piatto a tavola, pagare le bollette, mandare i figli a scuola, fare shopping durante i saldi e permettersi la pizza il sabato sera. Il lavoro è una necessità da colmare perché si pone a conferma della nostra esistenza. Che è degna di essere vissuta. Io esisto. Una dichiarazione di indipendenza che prevede una missione: oltrepassare i confini dell’egoismo e le frontiere dell’impossibile. Io esisto, quindi io posso. Posso cambiare le cose, posso migliorare quello che vedo e immaginare un vissuto possibile e ordinario. Il 51% degli intervistati è attivamente o passivamente alla ricerca di un lavoro più gratificante. La retribuzione è importante ma non determinante. Il report conferma che nel complesso, dell’85% delle risposte, l’aumento salariale ricopre solo il 26%. I lavoratori e le lavoratrici vogliono riconoscimento, opportunità di apprendimento, trattamento equo, obiettivi più chiari, manager migliori e coinvolgimento; questo conta anche più del luogo di lavoro. Le persone hanno bisogno di sapere che sono importanti, hanno necessità di sentirsi uniche,  indispensabili e possibilmente insostituibili. E non potrebbe essere altrimenti. 

La persona e poi il professionista

Ognuno di noi ha peculiarità specifiche che lo rendono unico per differenziazione. La nostra unicità la mettiamo al servizio della nostra professione che è solo verosimile a quella degli altri. Io sono un brand manager, ma non come gli altri brand manager. Se fosse così, la scelta, soprattutto quella ripetuta, cadrebbe sul costo rapportato a specifiche competenze. Le aziende devono attuare procedure di selezione e permanenza lavorativa che sanno guardare oltre le competenze professionali. In altri termini, come imprenditore e manager, io devo scegliere e confermare la persona che aggiunge alle competenze professionali il proprio contributo personale. Come dipendente invece so che non sono un ingranaggio di una macchina, quello che in fabbrica sostituisci facilmente. Qui siamo persone necessarie perché generose e competenti. Ciò ci rende indispensabili come un chiodo invece di un fischer o un giravite al posto di un Black and Decker. Oggi sappiamo che non siamo chiamati a realizzare un buco nel muro, ma a capire perché e dove realizzarlo. A scegliere la punta più adatta e la giusta profondità. Siamo sostituibili certo, ma non così facilmente. 

Abbandoniamo le aziende verticalizzate

Qualche settimana fa leggevo un post su Linkedin che celebrava i consigli di Amii Barnard-Bahn – conosciuta da Forbes come una dei migliori executive coach – utili a coloro che sono alla ricerca di una promozione lavorativa. La signora Barnard-Bahn ci consiglia –  ad esempio – di andare d’accordo con colleghi difficili, perché assumersi la responsabilità di andare d’accordo ed eliminare gli attriti rende più facile alla direzione aziendale identificarci come dei solutori e quindi più adatti ad una potenziale promozione. Aggiunge inoltre di darsi molto da fare, anche lavorando più del dovuto ma solo su progetti davvero importanti e visibili e non in attività minori e poco strategiche.

Viva le aziende verticalizzate quindi? Non è possibile pensare di andare d’accordo con un collega dalle relazioni tossiche. Metti – ad esempio – che questo è uno di quelli che, se sei donna, arriva di prima mattina schiaffeggiandoti la chiappa. Metti che decidi di trattenerti oltre il tuo dovere contrattuale e sopportare il collega tossico, pervertito, omofobo e maleodorante che sbava e si diverte in tua presenza. Non riesco a capire come si riesca ad accettare tutto questo. 

Dobbiamo abbandonare l’idea di lavoro come un insieme di spazi rigidi, inscatolati, etichettati e pronti all’uso. Costruiamo un tempo liquido e multiforme nel quale, grazie al nostro lavoro, possiamo sorprenderci e sorprendere le persone giuste. Il nostro lavoro è il riflesso del nostro porci al mondo. Non ci resta che decidere da quale parte stare. Guidare ed essere guidati: uno scambio equilibrato che crea emancipazione e opportunità o obbedire e soccombere al tempo, allo spazio che viviamo e alle persone che incontriamo.

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