Vittorio Varavallo | 26 Maggio 2023

Il piano di comunicazione: come stilarlo e come gestirlo

Nel programma generale di marketing, il piano di comunicazione annuale è il documento strategico-operativo che guida le azioni comunicazionali. La corretta stesura del PdC impone un’adeguata conoscenza dell’azienda e un’efficace programmazione delle attività concordate tra le parti che compongono il tavolo di lavoro. A tal proposito è consigliabile condividere il documento con tutto il team di lavoro: l’agenzia di comunicazione, il reparto marketing interno, il management, l’area commerciale e quella consulenziale, il customer service e il customer care e non per ultima la proprietà. 

Strutturato per accettare le correzioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi, il PdC è stilato con una logica che prevede 5 fasi da superare step by step.  

  • Ascolto: in questa fase chi è chiamato a stilare il PdC acquisisce e riporta con chiarezza le informazioni utili a comprendere l’azienda e le esigenze di comunicazione.  
  • Ideazione: capita l’azienda e le sue esigenze, nella fase ideativa si ipotizzano gli obiettivi da raggiungere e il concept comunicazionale: logica sulla quale costruire la strategia.
  • Proposta: in questa fase si determina la strategia di comunicazione da mettere in campo, stilata considerando la scelta dei canali fisici (press, event, cartellonistica indoor e outdoor, company profile, brochure) dei canali digitali (sito web, social media, blog, DEM, digital company profile) e degli strumenti con i relativi format (copywriting, fotografia, grafica, video: corporate, spot, motion graphic).
  • Metodo: a supporto della strategia di comunicazione, il metodo rappresenta la fase più operativa del piano di comunicazione. Un ciclo di lavoro che riguarda la presentazione della strategia, la stesura dei piani editoriali social-blog, i format video, la grammatica visuale e il tono di voce. 
  • Monitoraggio: Le azioni di controllo (da svolgere secondo tempi e modi stabiliti) hanno il compito di verificare se l’azione comunicazionale dell’impresa risulta efficace o se si rendono necessari interventi correttivi. In questa fase si andranno a monitorare l’efficacia degli elementi che compongono il mix comunicazionale quali messaggio, immagine e strumenti. 

Il piano di comunicazione si compone di tre macro-sezioni: brief, strategy, analysis.

Il brief d’impresa 

Preceduto da una serie di incontri (briefing), il brief d’impresa è la sezione del piano di comunicazione che chiarisce le caratteristiche dell’azienda e le sue esigenze comunicazionali, anticipando la Copy strategy – sezione che chiarisce le attività strategico-operative di marketing comunicativo – o la Brand strategy  qualora si voglia avviare anche una strategia orientata alla marca.

Non vi sono modelli da seguire, ogni azienda può strutturare questa sezione nella maniera che ritiene più opportuna; ovviamente la validità del documento comporta il rispetto di importanti regole. 

  • Completezza: un buon brief non può permettersi nessuna omissione che possa poi compromettere le azioni di marketing operativo. É importante una dettagliata descrizione di tutte le micro-sezioni che lo compongono.
  • Coerenza: un brief coerente semplifica le attività comunicazionali che saranno stabilite dalla copy strategy e/o dalla brand strategy. Una coerenza che riguarda l’esattezza delle informazioni ricevute e riportate.
  • Chiarezza: la stesura, le esigenze e gli obiettivi descritti nel brief devono essere chiari e comprensibili all’intero team di lavoro. Per facilitarne la comprensibilità è consigliabile utilizzare una struttura schematica a paragrafi e specifici grafici a supporto. 

Le micro-sezioni del brief d’impresa sono:

  • Profilo aziendale: chiaro, conciso e da non confondere con la presentazione dell’azienda, il profilo aziendale del piano di comunicazione risponde alle domande: chi sono? cosa offro? a chi lo offro? .
  • Mission: la missione di marca dev’essere un obiettivo chiaro, ambizioso e realizzabile. L’affermazione della mission consente di acquisire autenticità ed è un parametro per tutte le decisioni dei dirigenti e dei dipendenti, nonché un indirizzo per chiunque abbia a che fare con l’azienda. 
  • Vision: La visione di marca identifica la ragione di esistere dell’azienda al di là del fatturato. Definisce la personalità, creando credibilità e attrattiva, e afferma l’impegno assunto verso tutti gli stakeholder.
  • Punti di forza e di debolezza: il successo di un buon piano di comunicazione, capace di raggiungere, nell’arco di tempo definito, gli obiettivi preposti, impone un’approfondita conoscenza dei punti di forza e di debolezza dell’azienda. I punti di forza corrispondono ad una serie di caratteristiche quali: immagine e capacità comunicazionale; un chiaro segmento del target fidelizzato da una area consulenziale competente e capace; un servizio performante; o valori quali – solo per citarne alcuni –  flessibilità, innovazione, inclusività, sostenibilità. Con realismo bisogna definire anche cosa non funziona. Conoscere gli svantaggi significa diminuire le criticità che potrebbero presentarsi durante le azioni comunicazionali e trovare in anticipo il modo per ridimensionarle. I punti di debolezza potrebbero essere prodotti e servizi ancora deboli, un’immagine scarsa e la mancanza di brand, personale e strumenti inadeguati, uno scarso orientamento al marketing e un budget destinato al marketing insufficiente rispetto agli obiettivi preposti.

La copy strategy 

Chi è chiamato a sviluppare il piano di marketing comunicativo risponderà con la Copy Strategy, macro-sezione che chiarisce le motivazioni, l’utilizzo dei canali e degli strumenti scelti, la timeline di lavoro e gli obiettivi da raggiungere secondo le esigenze stabilite dal brief. 

La stesura della copy strategy risponde a:

  • Cosa comunicare: descrizione dell’offerta aziendale, dei progetti imprenditoriali, del valore dei servizi; 
  • A chi comunicare: una dettagliata descrizione della quantità e della qualità del target di riferimento. Non è possibile raggiungere tutti e non si fa riferimento alla sola posizione geografica o al solo aspetto demografico, ma a quello che Seth Godin chiama smallest viable market (minimo mercato sostenibile) riferendosi alla sua conoscenza, alla sua consistenza e alla sua raggiungibilità;
  • Come comunicare: l’analisi indicherà il mix comunicazionale da combinare: le motivazioni della strategia, Il tono di voce e l’immagine da veicolare nei media;
  • Quando comunicare: ossia i tempi da rispettare nel trasmettere i messaggi al segmento target; 
  • Dove comunicare: l’analisi e la scelta dei canali comunicazionali di distribuzione quali social media, sito web, blog, testate di settore e di mercato, DEM, eventi e fiere; 
  • Perché comunicare: evidenziando le motivazioni che ci spingono ad affrontare il piano di comunicazione e i reali vantaggi; 
  • Quanto comunicare: il budget necessario che va a coprire l’investimento comunicazionale. La scelta del budget è vincolata da una serie di condizioni quali: obiettivi che si vogliono raggiungere, tipologia d’impresa (piccola, media, grande azienda), il livello di redditività, l’ampliamento o il mantenimento della quota di mercato, ampiezza e profondità delle azioni comunicazionali, valutazione degli strumenti  che s’intendono mettere in atto;
  • Quali obiettivi conseguire: supportato da verifiche e analisi periodiche per la correzione delle criticità. 

La brand strategy

Per le aziende che scelgono una comunicazione orientata alla marca, alla copy strategy – o alle singole copy strategy – si aggiunge la Brand strategy o strategia di marca. A differenza della copy strategy – che può riprodursi su specifiche esigenze legate a altrettanti specifici prodotti e servizi – la brand strategy è l’anima della marca, si evolve seguendo l’evoluzione del brand e vive fino alla sua morte.

Prima di proseguire è importante chiarire la differenza tra marchio e marca. Il marchio, anche entità legale dell’azienda, rappresenta l’aspetto estetico dell’organizzazione aziendale: il naming (nome del marchio con caratteristiche visuali proprie e distintive), il pay-off (testo descrittivo o evocativo posto al di sotto del naming) e symbol (segno grafico del marchio) né compongono la struttura. La marca invece è l’entità concettuale e valoriale dell’azienda. Dotata di una propria personalità, presidia il territorio mentale del proprio cliente che ne è attratto al punto tale da sceglierne il prodotto o il servizio indipendentemente dal costo e da altre marche appartenenti allo stesso settore. 

La brand strategy comunica la personalità di marca enfatizzandone le sfaccettature e accrescendone la percezione. Definire una personalità di marca significa riuscire a creare, in una posizione di mercato paritario, quella differenziazione necessaria e quella identificazione utile a proiettare l’interlocutore verso la scelta di una marca rispetto all’altra. A tal proposito, seppur la strategia di marca – nella fase strategico-operativa – risponde a quanto descritto nella copy strategy, è necessario capire e sviluppare le caratterizzazioni proprie e differenzianti del brand. Queste vanno stilate in micro-sezioni perché parti integranti della brand strategy. 

  • Verbal identity: è la sezione che delinea le caratteristiche della personalità di marca e i modi col quale interloquire. Si divide in:
    • Brand voice: ogni  marca  ha  una  sua  personalità  e  il  brand  voice ne  stabilisce  le  caratteristiche rendendola facilmente riconoscibile. Ogni  buona  brand  strategy  prevede  la  stesura  del  brand voice stilato secondo il pubblico di riferimento e gli obiettivi da  perseguire.
    • Tone of voice: se la brand voice definisce la personalità della marca, il tone of voice ne costituisce l’attitudine. Se la prima deve rimanere coerente e costante nel tempo, la seconda sarà differente per argomento affrontato, contesto in cui si trova, mezzo di comunicazione utilizzato e pubblico col quale si vuole interloquire. Tra i tipi di tone of voice classificati troviamo: i toni freddi (burocratico; istituzionale); i toni neutri (professionale; onirico); i toni  caldi (colloquiale; amichevole); i toni colorati (ironico; aggressivo).
  • Visual identity: è il modo in cui una marca racconta se stessa attraverso il linguaggio visivo ed  include: logo, colori, design grafico e fotografico sia online che offline – corporate Identity, sito  web, company profile. Il visual identity contribuisce ad accrescere la personalità e il carattere della marca potenziandone la reputazione; aiuta ad accrescere la visibilità e la riconoscibilità dell’azienda; esprime la struttura di un’organizzazione ai suoi stakeholder e favorisce l’identificazione dei dipendenti con l’azienda. 
  • Brand guidelines:  stabilisce  l’aspetto stilistico della comunicazione aziendale, il modo in cui  l’azienda deve comunicare con le persone, sia in termini visivi che verbali. Sviluppato mediante uno specifico documento, ha il compito di allineare la coerenza visiva e comunicativa del brand, fornendo risposte precise  ed  esempi  sull’uso  del  logo,  dei  colori,  delle fotografie, dei font e della corporate identity.
  • Brand identikit: se il brand guidelines è il documento che regolamenta l’aspetto stilistico del  marchio e il posizionamento online e offline, il brand identikit ha il compito di analizzare,  spiegare  e supportare il posizionamento della marca attuato dalla brand strategy.

Precedentemente pubblicato sul numero di Dicembre 2021 de Il Giornale della Logistica

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