Essere unici e insostituibili
Siamo imperfetti come l’arte degenerata, come le ninfee di Monet, la colazione sull’erba di Manet, i paesaggi di Turner, le donne di Picasso, le forme di Malevic, le cancellature di Isgró, le pitture nere di Goya. Siamo imperfetti, unici e preziosi come l’artista che vede nel fare l’unico modo per essere. Diventare quelli che vogliamo essere è il nostro obiettivo perché si pone a garanzia del nostro lavoro e, di riflesso, della nostra esistenza.
Questa è vita vera: secondo il Sole 24ore, Meta ha tagliato ventimila posti di lavoro, X ha mandato a casa più di 1200 persone in pochi mesi, Unity Software ridurrà la forza lavoro del 25%. Nel 2023, nel solo settore technology, 1186 aziende hanno licenziato 262600 lavoratori e lavoratrici. Bisogna lavorare per essere percepiti come unici, riconoscibili e insostituibili. Le sole competenze tecniche non bastano più. Tom Peters lo ripete da quarant’anni: hard (numeri, piani e organigramma) è soft e soft (persone, cultura e relazioni) è hard.
Essere insostituibili significa posizionarci all’interno di un genere evitando qualsiasi collocazione di genericità. Semplice a dirsi e anche a farsi se siamo disposti a farlo. Il lavoro è sostituibile, ma il nostro, inserito all’interno di un genere ben definito, se riconosciuto, se fa la differenza, diviene prezioso al limite dell’insostituibilitá. Se sei insostituibile sei unico. Se sei unico sei riconoscibile. Essere unici e riconoscibili significa assemblare le nostre competenze professionali con i nostri principi personali. Ciò prevede che il nostro lavoro debba essere parte di noi.
Essere noi
Mettere noi all’interno del nostro lavoro, con i nostri valori, le nostre convinzioni e perfino le nostre palpitazioni, è un’opportunità che non possiamo perdere, perché ci rende distinguibili. È per questo motivo che la riconoscibilità è utile anche in fase di comparazione e i brand lo sanno da tempo. Posso considerare più sicura una sedia Foppapedretti rispetto una buona sedia di legno. La riconoscibilità di marca offre garanzie, ma poi bisogna mantenere le promesse. Mantenerle significa essere – con continuità – l’elemento dissimile di un insieme che contraddistingue un genere. Sono un Copy, un designer o un idraulico, parte di un genere che mi vuole simile agli altri, ma posso essere il fiore bianco o la mucca viola se, con le mie competenze professionali e i miei valori personali, risulto la versione migliore tra le alternative trovate dalle persone che scelgo di servire.
Disponibilità personale, qualità professionale e risultati concreti possono essere gli elementi che compongono una partnership da consolidare nel tempo. Il fatto è che possiamo essere i più bravi, i più competenti e i più disponibili, ma quando smettiamo di offrire quello di cui hanno bisogno viene meno la fiducia, la serenità lavorativa e poi la partnership.
Le persone che scegliamo di servire hanno bisogno di noi, delle nostre capacità, delle nostre competenze, della nostra esperienza e soprattutto del nostro cuore. Ascolto, dedizione e soluzioni concrete sono un buon modo per dare ai nostri referenti quello di cui hanno bisogno. Un fare che è parte del nostro lavoro. Amiamolo e ameremo la vita che abbiamo scelto di vivere.
A volte ci capita di sbagliare, errare è umano, ma quando è ripetuto nel tempo è sintomo di disamore che è sinonimo di inefficienza. Afferriamo l’opportunità di fare con amore il lavoro per il quale abbiamo accettato la chiamata. O prendiamoci la responsabilità di ammettere che non siamo fatti per il nostro lavoro. Se scegliamo la prima versione di noi, possiamo adoperarci per essere utili e costruire partnership di successo.
Essere utili
Possiamo essere la mucca viola tra le mucche marroni, il fiore bianco in un mazzo di fiori rossi, ma quanto siamo utili?
Ci serve un motivo che nasce nel fare. Un fare generoso, per niente accondiscendente, monco da qualsiasi obbligo. Un fare che cresce dentro, che – ceduto a pochi eletti – possa risolvere e migliorare le cose. Utile significa offrire il nostro contributo personale per generare un lavoro che funziona. Utile significa farci trovare al nostro posto, perché è lì che vogliamo stare. Una scelta incondizionata che vede nel voler fare l’unica sicurezza possibile.
Un atleta si allena otto e più ore al giorno perché vuole farlo. L’artista dipinge costantemente con passione e volontà d’esercizio per anni. Lo scrittore scrive instancabilmente a qualsiasi ora del giorno e della notte. Abbandoniamo il dovere del fare e rendiamo il nostro lavoro utile e disponibile mediante una pratica costante e diffusa che accresce le nostre abilità messe al servizio di chi le merita. Questo funziona solo se amiamo quello che facciamo, se mentre lo facciamo ci sentiamo bene e se lavoriamo con rigorosa costanza.
Essere anche quando il risultato non è quello previsto
Possiamo imparare a scrivere ma non è detto che saremo degli scrittori. Possiamo imparare a disegnare e a dipingere, possiamo perfino definirci pittori o scultori, ma non è detto che saremo visti come artisti. Possiamo imparare a suonare la chitarra, il piano o il sassofono ma non è detto che saremo dei musicisti. Possiamo nascere con una bella voce, perfino avere le corde vocali di un basso puro, ma non è detto che riusciremo un giorno a cantare al San Carlo.
Possiamo essere quelli che siamo e non è detto che possiamo essere quelli che vogliamo essere. Ma siamo noi! Nello spazio che separa il fare dall’essere o l’essere dal fare ci siamo noi e nessun altro. Un noi unico e distinguibile che, seppur estraneo dalla notorietà, trova nell’espressione dell’essere il vero successo.
Maud Lewis (della quale potete trovare il film su Netflix) è un’artista canadese che, in estrema povertà e con un artrite reumatoide giovanile, dipinge instancabilmente su qualsiasi superficie, diventando, subito dopo la sua morte, una delle artiste meno famose ma più incisive del 900. Maud ha venduto per anni i propri lavori a pochi centesimi e solo tra il 1945 e il 1950, oramai nota ai più, le persone si fermano sulla Highway al civico 1, il luogo dove abitava, per acquistare le sue opere a 7, 9 dollari. Maud Lewis è stata un’artista che ha lavorato tantissimo perché aveva necessità di farlo. Il suo fare era l’espressione del suo essere. Il suo modo di essere è stato anche farsi trovare lì, al suo indirizzo, nel luogo dove le persone si fermavano per acquistare le sue opere.
Dopo l’esplosione nel porto di Beirut del 4 agosto 2020, un’anziana signora si siede al piano ed esegue Auld Lang Syne: canzone tradizionale scozzese. Nel 2022 a Kiev, una donna rientra nella casa bombardata per suonare il suo pianoforte. Non possiamo sfuggire da quello che siamo. Quando il tutto ci appare incasinato, quando quello che ci circonda ci appare distrutto, quando la nostra vita sembra sgretolarsi dal pavimento, dobbiamo continuare a fare quello che amiamo fare e farci trovare al nostro posto, sensibilmente reattivi e ordinariamente proattivi.