Il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite approvano l’Agenda 2030, un progetto che prevede il raggiungimento di 17 obiettivi che si pongono come piano d’azione per uno sviluppo globale sostenibile e inclusivo. L’obiettivo 8 prevede il raggiungimento di una crescita economica costante e durevole nel tempo, mediante un occupazione lavorativa di uomini e donne che risulti dignitosa, equa e paritaria. Beh, sono trascorsi sette anni dall’approvazione e la strada, a mio avviso, risulta ancora lunga e tortuosa.
È necessario cambiare in toto perché oggi sotto l’imperativo della crescita, il lavoro è ancora visualizzato nel solo ambito dell’economia. (Galimberti) Se pensiamo al fenomeno sociale post-pandemico denominato Great Resignation, possiamo affermare con certezza che è ormai prioritario rivedere il concetto di lavoro e ripensare la persona non solo come risorsa. È chiaro oramai che la Great Resignation deriva da un malessere collettivo che ha spinto molti lavoratori a rivalutare il proprio stile di vita, dando priorità alla propria felicità piuttosto che al lavoro. Ed è proprio del 2022 il saggio di Umberto Galimberti e Paolo Iacci “Dialogo sul lavoro e la felicità” che pone interrogativi sul binomio lavoro e felicità e sulle scelte che comportano l’una rispetto all’altra.
Il genere umano è da sempre proiettato alla conquista (di quello che non ha) e l’errore di fondo sta nel ritenere la moltiplicazione l’operazione con la quale ottenere la crescita: più persone, più magazzini, più metri quadri, più fatturato. La crescita dovrebbe assumere una visione antropocentrica, ossia la felice consapevolezza della persona quale fulcro per lo sviluppo sociale, culturale e quindi economico. La condivisione, quale strumento di comunicazione, deve essere il modus operandi primario: un’azione di diffusione della conoscenza che determina benessere per il singolo e per la collettività.
Precedentemente pubblicato sul numero di Luglio-Agosto 2022 de Il Giornale della Logistica