
Il valore dell’imperfezione quale riconoscibilità differenziante.
Mi considero un solitario, mi piace stare con me stesso, riflettere sui miei progetti familiari e lavorativi. Sia chiaro, non escludo il piacere di stare in compagnia – chi mi conosce lo sa bene – ma di quella “di passaggio” o poco costruttiva preferisco quella ben selezionata.
In questi giorni leggevo che le persone solitarie acquisiscono nel tempo una serie di caratteristiche utili alle relazioni: quel giusto equilibrio mentale per poter conoscere se stessi e riuscire a star bene con gli altri.
Non siamo perfetti e abbiamo bisogno di relazionarci per migliorarci. Siamo macchine emotive che pensano dice Damasco. Non esiste l’uomo perfetto, la donna perfetta e il bambino perfetto; ammenochè il bambino non sia David di AI, che, come Pinocchio, persevera nel sogno di diventare un bambino umano – con tutte le sue imperfezioni – purché possa essere amato dalla mamma che lo adotta. Non esiste l’azienda perfetta – ognuno di noi è amato anche grazie alle proprie imperfezioni. Sono soprattutto le nostre diversità a renderci unici; in caso contrario saremmo simili a dei perfetti replicanti, come i centinaia di Mecha che David scopre come copie di se stesso già inscatolate e pronte alla vendita.
Sono imperfetti e unici i nostri progetti imprenditoriali, così come sono imperfette e uniche – ad esempio – le pennellate sgrammaticate di Van Gogh, il dripping di Pollock, i volti del periodo blu di Picasso, l’arte degenerata, autentica e leale, che combatte contro la perfetta propaganda dell’arte nazista. Perfino la Gioconda di Leonardo da Vinci, i non finiti e i dipinti della cappella Sistina di Michelangelo non sono perfetti.
Le nostre imperfezioni umane sono perfette per essere amate.